
Buona serata

Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salita un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
Umberto Saba
Trieste Canal Grande al tramonto
Pubblicato il 2 dicembre 2019di culturaoltre14
Voglio pensare come pensa il fiume.
Correre dalla fonte alla foce
come lui che entro le sue rive
non è mai lo stesso e sempre vivo
scorre nell’eternità
e incessantemente esiste.
Scalza tutto ciò che sfiora
e si porta dietro, lava e sciacqua
gli errori del tempo, i guai degli avi,
la fiducia dei nipoti, l’incredulità,
l’entusiasmo e i meriti, moderando
tutto in giusta misura.
Corri allora. Semplicemente come il fiume.
Dalla sorgente fino all’estuario.
E non dimenticare come sono belli
i grembi dei salici, dove il vento
nasconde i suoi canti,
e gli irraggiungibili orizzonti.
Tone Pavček
(Traduzione di Jolka Milič)
Tone Pavček, uno dei maggiori poeti sloveni della generazione nata alla fine degli anni Venti, è nato il 29/9/1928. Laureato in giurisprudenza è stato per lunghi anni nella redazione culturale della RTV slovena e come direttore nella casa editrice Cankarjeva.
Negli anni del disgelo (gli ’80) è stato Presidente della Lega degli scrittori sloveni e ha svolto altre cariche e impegni sociali importanti. Tra i premi ricevuto spicca la “Prešernova nagrada”, il massimo riconoscimento nazionale per le arti contemporanee. Pavček ha debuttato in poesia nella famosa raccolta “Pesmi štirih” (“Liriche a quattro voci”), del 1953, che rimane una pietra miliare nella letteratura slovena del dopoguerra (raccolta programmatica dell’intimismo poetico di quattro autori (oltre a Pavček, Ciril Zlobec, Janez Menart e Kajetan Ković).
Tra i suoi tanti libri di poesia: “Ujeti ocean” (L’oceano imbrigliato,’64), “Zapisi” (Annotazioni,’72), “Poganske hvalnice” (Odi pagane,’76), “Dediscina” (Lascito,’83), “Golicava” (Pianura sterile, ’88), “Temna zarja” (Albore oscuro ’96), “Upocasnitve” (Ultima china ’98).
I suoi saggi sono in due libri: “Cas duse, cas telesa I – II” (Tempo dell’anima, tempo di vollutà, I e II, ‘94 e ‘97).
Su di lui ha scritto un saggio critico in italiano, anche Arnaldo Bressan nel suo libro “Le avventure della parola”, ed. Il Saggiatore,’85.
Intensa la sua attività di traduttore dal russo (Jesenin, Majakovski, Pasternak, Ahmatova, Cvetajeva, Zabalotski, Voznesenski, Brodski), questi in libri autonomi, e tanti altri nell’ampia “Antologia della poesia russa del’900”. Dalla poesia georgiana ha tradotto il poema di Rustavelli “Il cavaliere nella pelle di tigre”, dal croato Kovacić “Jama” e altri ancora.
Ha partecipato nel 1999 a “Napolipoesia. Incontri internazionali di poesia” e nel 2004 agli “Incontri internazionali di poesia di Sarajevo” dedicati al suo caro amico, Izet Sarajlić. Pavček è morto il 21 ottobre del 2011. [http://www.casadellapoesia.org/]
Centinaia di Sardine (400 secondo gli organizzatori, che ne attendevano circa la metà) sono scese in piazza Duomo, ad Aviano, per chiedere la pace, in un luogo simbolico dato che il comune pordenonese ospita la base Usaf.
L’appuntamento era fissato alle 17. Il momento più importante è stato il lunghissimo silenzio, durato esattamente 11 minuti, per rendere omaggio e chiedere il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione (L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo).
Poi, facendo muovere una grande sardina al centro della piazza, i partecipanti hanno intonato uno degli inni internazionali contro la guerra, ‘Imagine‘ e quello che è diventato il canto-simbolo del movimento, Bella Ciao. https://www.ilfriuli.it/articolo/politica/aviano-sardine-in-silenzio-per-la-pace/3/212861
Sguardi si incrociano come rette in un percorso senza pieghe (delicata empatia in occhi migranti approcci solidali). Si esaltano voci complici su affinità e dense parvenze… sciolgono torpori negli zigomi ammorbiditi. Velate fragilità si dileguano in sfondi lievi (toni caldi rilasciano contorni adagiati su certezze) mentre il cielo espande meravigliato rosata luna a mezzogiorno… @Silvia […]
LUNA A MEZZOGIORNO, di Silvia De Angelis — Alessandria today @ Web Media. Pier Carlo Lava
Il Matajur (Matajûr in friulano, Monte Re o Baba in dialetto sloveno locale) è una montagna delle Prealpi Giulie alta 1.641 m s.l.m. che si trova nella parte orientale del Friuli, sovrastando la città di Cividale.
Si ritiene che il Matajur fu scalato dal re longobardo Alboino quando, giunto in prossimità dell’Italia, lo risalì per ammirare le fertili pianure friulane che stava per invadere[1][2].
L’altura del Matajur, nel corso della prima guerra mondiale, fece parte dell’ultima linea di difesa italiana approntata dalla 2ª Armata per la protezione della pianura friulana in caso di sfondamento dei reparti combattenti nelle posizioni avanzate. Il monte passò alla storia in quanto, nel corso della battaglia di Caporetto, il tenente Rommel, il futuro feldmaresciallo, ne conquistò la cima.
Il 24 ottobre 1917, dopo un lungo bombardamento, il tenente Rommel, a capo di sei compagnie tedesche, lanciò una veloce offensiva, con la tattica dell’attacco a sorpresa, sul Colovrat e in breve tempo ne conquistò le cime. Invase quindi la vallata di Savogna ed attaccò il Matajur, difeso dalla Brigata Salerno.
Dopo 52 ore di marce sfibranti ed audaci combattimenti, ne conquistò la vetta facendo quasi 9000 prigionieri ed un enorme bottino di materiale bellico. L’avanzata del tenente Rommel fu uno dei più importanti episodi della battaglia di Caporetto perché fu determinante per la tragica ritirata italiana. Dal Matajur, Rommel proseguì, attraverso Longarone, la sua veloce avanzata fino al fiume Piave.
Il ripido versante ovest del Matajur visto dal monte Joanaz
Le Prealpi Giulie con il Matajur
Sulla destra il monte Matajur
Il Matajur visto dalla Slovenia
Vista della pianura friulana dal Rifugio Pelizzo
Il monte Matajur visto da Cividale del Friuli
L’osservatorio del monte Matajur
Immagine della vecchia cappella del Matajur
Monte Matajur dai Colli Orientali del Friuli
Il toponimo Matajur compare negli scritti e sulla carte geografiche solamente nel secolo XVIII[1]. Il nome ha origine da Mont Major (Monte Maggiore di Cividale) che, nel tempo, è mutato in Mot Major, Mat Major, Matajor e, infine, Matajur. La popolazione locale lo chiama anche (Velika) Baba, che sta ad indicare una vetta rocciosa isolata, o, solo dal XX secolo, Kalona con riferimento all’obelisco eretto a fianco della cappella del Cristo Redentore e distrutto, come indicato in seguito, nel corso della prima guerra mondiale[3]….fonte
https://www.wikiwand.com/it/Matajur