IL COMMENTO
I popoli non possono essere criminali
Una riflessione dopo le polemiche suscitate ancora una volta dal «Giorno del ricordo»
L’assessore regionale Pierpaolo Roberti ha messo il punto alle forti polemiche scoppiate dopo il «Giorno del ricordo» per le vittime delle foibe e dell’esodo di istriani e dalmati, affermando che «gli eventi drammatici che hanno segnato in modo profondo le nostre
terre, dovuti a comportamenti criminali compiuti da ambo le parti, appartengono al passato, mentre noi dobbiamo guardare al futuro». Tuttavia, l’oscar della dichiarazione più lucida ed efficace va a Carlo Giovanardi, del movimento «Idea, popolo e libertà», già sottosegretario di Stato e ministro nei governi Berlusconi. «A doversi scusare sono comunisti e fascisti, non sloveni e croati», ha affermato domenica 17 febbraio in un’intervista al quotidiano triestino «il Piccolo».Per la tragedia ricordata ogni anno il 10 febbraio così come per altre sanguinose vicende storiche, infatti, è imperativo assoluto tarpare le ali alla criminalizzazione di interi popoli. Perché è sempre forte la tentazione di scaricare su tutti i cittadini le responsabilità dei loro governanti, anche quando si tratta di dittatori o abili manipolatori del consenso delle masse. Lo schema perverso è semplice: i cattivi stanno tutti da una parte e i buoni tutti dall’altra. Tutti delinquenti o tutti brava gente, a seconda del punto di osservazione.
Questo schema ha avuto come risultato l’impunità per i crimini commessi dalle forze italiane durante il ventennio mussoliniano e la seconda guerra mondiale – non c’è stata alcuna Norimberga per i nostri gerarchi e generali – e di quelli perpetrati dai partigiani di Tito nella lotta di liberazione – che fu allo stesso tempo rivoluzione comunista – e dopo il maggio 1945, quando si trattò di consolidare il regime instaurato con la forza
delle armi.Troppi ragionano, putroppo, ancora oggi nella logica di un deleterio nazionalismo che fa dello Stato una sorta di idolo, della Nazione un assoluto. Nel diciottesimo e nel diciannovesimo secolo tale ideologia – e gli storici la mettono alle radici di fascismo, nazismo e comunismo – ha portato al colonialismo, all’imperialismo, al militarismo e all’intolleranza. Col risultato di innumerevoli guerre, milioni di morti, ferite sanguinanti a decenni di distanza. E ancor oggi l’Europa non ne è immune.
Dunque va continuamente riaffermato che i popoli,in quanto tali, non possono essere criminali.Dopo film, discussioni e celebrazioni, tutta Italia conosce la tragedia degli infoibati – circa 1600 i morti nelle cavità carsiche, altri 3000 circa morti nei campi di
prigionia jugoslavi o passati per le armi senza processo– e la fuga dalle proprie terre di 200/250 mila istriani e dalmati. Ed è convinta che si trattasse di «pulizia etnica » ai danni degli italiani, mentre fu «pulizia ideologica ».Infatti, un terzo dei profughi era costituito da sloveni e croati che non volevano restare sotto il comunismo,e l’uccisione sommaria con occultamento dei cadaveri nelle grotte fu un metodo usato sistematicamente dal
regime jugoslavo contro gli oppositori. Nelle sole voragini di Kocevski Rog, a sud di Lubiana, pochi giorni dopo la fine della guerra furono sterminate migliaia di
sloveni anticomunisti. Lo stesso Paolo Sardos Albertini,esule, presidente della Lega nazionale di Trieste e del Comitato per le onoranze ai martiri delle foibe ebbe a
sostenere: «La chiave di lettura etnica non è più proponibile. Dobbiamo convincerci che gli interlocutori, la controparte, non erano gli slavo-comunisti, ma semplicemente i comunisti. Il comunismo è scomparso e proprio ad esso vanno imputate le responsabilità di quanto successo, dalle foibe all’esodo. Ecco la sfida: riunire italiani, sloveni e croati per condannare i crimini titini e ricordarne le vittime che non furono solo italiane».
Inoltre, i riprovevoli fatti avvenuti in Istria e Dalmazia sono stati estrapolati da un contesto storico molto più ampio e sono stati taciuti gli antefatti. Prima fra tutte l’annessione all’Italia fascista della cosiddetta «Provincia di Lubiana». Riportiamo cosa hanno scritto in proposito gli storici italiani e sloveni della commissione mista istituita nel 1992 dai rispettivi governi: «Il regime d’occupazione fece leva sulla violenza che si manifestò con ogni genere di proibizioni, con le misure di confino, con le deportazioni e l’internamento nei numerosi campi istituiti in Italia (fra i quali vanno ricordati quelli di
Arbe, Gonars e Renicci), con i processi dinanzi alle corti militari, con il sequestro e la distruzione di beni, con l’incendio di case e villaggi. Migliaia furono i morti, fra caduti in combattimento, condannati a morte, ostaggi fucilati e civili uccisi. I deportati furono approssimativamente 30 mila, per lo più civili, donne e bambini, e
molti morirono di stenti. Furono concepiti pure disegni di deportazione in massa degli sloveni residenti nella provincia».
È tempo allora di una riconciliazione senza se e senza ma. Bisogna adoperarsi affinché il Governo italiano trovi la volontà politica di accogliere la relazione della Commissione storico- culturale italo-slovena sui «Rapporti tra italiani e sloveni dal 1880 al 1956», il che lancerebbe un messaggio forte ai rispettivi popoli: mai più uno contro l’altro.
Ezio Gosgnach (Dom, 28. 2. 2019)
dal Slovit del 28-02-2019
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